N° 1/2019
Divulg..

Fermiamoci e misuriamoci con la nostra morale

Scorrendo l’Enciclopedia Treccani la definizione di etica è riportata in questi termini:

 

“In senso ampio, quel ramo della filosofia che si occupa di qualsiasi forma di comportamento umano, politico, giuridico o morale; in senso stretto, invece, l’etica va distinta sia dalla politica che dal diritto, in quanto ramo della filosofia che si occupa più specificamente della sfera delle azioni buone o cattive e non già di quelle giuridicamente permesse o proibite o di quelle politicamente più adeguate.” 

 

Etica è un insieme di norme, un codice che riunisce i principi assoluti come la dignità, la libertà, il bene e i principi secondari come la giustizia e la solidarietà; studia le norme giuridiche e ricerca i valori e i principi morali (l’insieme di regole morali viene disciplinato dalla deontologia). Ecco perché un operatore può essere giuridicamente corretto ma deontologicamente e umanamente scorretto.

Quindi sembra logico associare l’etica alla morale intesa come scelta consapevole tra azioni ugualmente possibili, ma alle quali compete o si attribuisce valore diverso o opposto (bene e male, giusto e ingiusto). In campo medico, l’etica è per definizione generale collegata ad Ippocrate: il cosiddetto giuramento di Ippocrate, le cui prescrizioni nell’antichità vincolavano comunque solo la setta dei medici ippocratici, e i codici professionali dei medici hanno rappresentato sino a metà del XX secolo gli unici riferimenti etici e normativi per il medico.

 

Ma se ripercorriamo con la memoria il moderno giuramento che abbiamo fatto, ci rendiamo conto che i principi di etica che vi sono contenuti sono tutti relativi specificatamente allo svolgimento della professione ovvero al rapporto con il paziente. In realtà non vi sono riferimenti specifici ai principi etici che dovrebbero regolare il rapporto professionale tra medico e medico. L’Odontoiatria è una professione relativamente giovane che nell’arco di un centinaio di anni ha raggiunto livelli di specializzazione molto alti. 

Non va dimenticato che si giunge ad un titolo ufficialmente riconosciuto partendo da semplici disposizioni amministrative: la distribuzione autorizzata dei rimedi e una licenza ad esercitare che non implicava alcun controllo sulla preparazione pratica e tantomeno teorica dell’operatore. 

E’ solo nel corso del XVIII secolo che si sentì la necessità di istituire veri e propri esami che garantissero la capacità professionale di coloro che si dedicavano alle branche minori della chirurgia (litotomi, oculisti, ortopedici e dentisti) e che spesso ne praticavano varie contemporaneamente; ma nel contempo non si ritenne necessario istituire corsi regolari come per gli studenti in medicina e chirurgia. Gli aspiranti dentisti, per poter superare un esame, indirizzato prevalentemente verso l’aspetto chirurgico (gli esaminatori erano i docenti di anatomia e chirurgia) e per apprendere le nozioni fondamentali di anatomia e patologia dell’apparato masticatorio, avrebbero dovuto frequentare le lezioni universitarie; d’altro canto le realizzazioni dell’odontoiatria riguardanti la conservativa, la chirurgia speciale e la protesica dovevano necessariamente venir apprese privatamente o attraverso un tirocinio presso studi dentistici già avviati. 

 

Si deve giungere al XX secolo per vedere in Europa la nascita delle prime scuole di specializzazione in odontoiatria alle quali si accedeva solo se già in possesso del titolo di medico-chirurgo e, in una fase successiva, la creazione delle facoltà di odontoiatria e chirurgia dentaria con lauree indipendenti da quelle in medicina. Oggi questa professione, ormai ad altissima specializzazione, ancora purtroppo sottoposta ad alti costi di esercizio, deve confrontarsi con una situazione economica a dir poco difficile a causa delle note problematiche che da alcuni anni investono il nostro tessuto sociale. Accade allora che ci rendiamo conto che l’evoluzione della professione probabilmente non è stata seguita dalla stessa necessaria evoluzione di meccanismi automatici che dovrebbero regolare i rapporti tra gli operatori sanitari. Capita ormai sempre più frequentemente che il Paziente riceva sollecitazioni e proposte pur essendo già in cura presso un altro Odontoiatra. Alcune volte dai colleghi, altre volte dagli specialisti da cui si mandano i pazienti in consulenza e addirittura dagli stessi medici di base… 

Questo in prima battuta crea certamente disagio al paziente sotto differenti punti di vista ma ancor di più ad una professione che, già difficile per se stessa, è ancora in una fase di sviluppo specialistico. Nelle aziende solitamente sono elaborati codici etici e di condotta che stabiliscono in  maniera chiara le regole dei rapporti tra i dipendenti. Sono codici assai simili tra loro e in generale tutti esprimono la necessità che i comportamenti tra i colleghi a tutti i livelli e gradi, debbano essere costantemente e reciprocamente mirati ad agevolare la migliore prestazione professionale possibile. Questo è il punto: la migliore prestazione professionale possibile. Siamo coscienti che né il Codice Deontologico, né leggi particolari regolano di fatto i rapporti tra i colleghi e che non ci troviamo nella stessa azienda. 

Siamo tutti però impegnati nella stessa professione che ha come obiettivo la salute del cittadino  e questo lo abbiamo giurato:

 

“di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica, il trattamento del dolore e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della dignità e libertà della persona cui con costante impegno scientifico, culturale e sociale ispirerò ogni mio atto professionale.”

 

Ed allora dobbiamo fermarci e misurarci con la nostra morale. Proporre ad un paziente già in cura presso un odontoiatra un cambiamento di operatore sanitario o di trattamento è una azione possibile ma ognuno di noi sa che è ingiusta e contro ogni etica.

Autore

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Claudia Tosi

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